Il Kenbak-1 è riconosciuto oggi come il primo personal computer commerciale della storia, titolo assegnato ufficialmente dal Computer History Museum e da diversi storici dell’informatica. Questo primato è comunque conteso con la Olivetti Programma 101, considerata da molti il primo “desktop computer” a uso professionale.
La differenza principale è che la Programma 101 è una calcolatrice programmabile evoluta, mentre il Kenbak-1 è una vera macchina a programma memorizzato (stored-program computer), concettualmente più vicina ai PC moderni.

Kenbak-1 Replica (Foto collezione privata Felice Pescatore)
Progettato nel 1970 da John V. Blankenbaker della Kenbak Corporation, il Kenbak-1 nasce in un’epoca in cui il microprocessore non è ancora stato inventato.
Per questo non ha una CPU su chip: il “cervello” è realizzato interamente con circuiti logici a transistor (TTL) montati su una scheda a circuito stampato. La memoria, appena 256 byte, è ottenuta tramite due shift register MOS (Intel 1404A), una tecnologia lenta ma economica per l’epoca.
La macchina elabora un bit alla volta (architettura seriale) e lavora a una velocità teorica di 1 MHz (1 microsecondo per ciclo): in pratica, riesce a eseguire meno di 1000 istruzioni al secondo, a causa della lentezza intrinseca della memoria seriale.
Il Kenbak-1 dispone di:
- Nove registri mappati in memoria, inclusi i tre generali A, B, X, il program counter P, registri di input/output e flag di stato.
- Cinque modalità di indirizzamento: immediata, diretta, indiretta, indicizzata e indiretta indicizzata. Un set di istruzioni codificato su 8 bit, con operazioni aritmetiche, logiche e di salto condizionale, in stile macchina didattica.
Nonostante le limitazioni, è sufficiente per programmare piccoli algoritmi, fare operazioni matematiche e gestire flussi logici, offrendo un’esperienza completa di programmazione a basso livello. L’interazione è puramente manuale:
- 8 interruttori frontali per inserire i bit di ogni istruzione.
- 8 LED per visualizzare i risultati e lo stato della memoria.
Non ci sono tastiera, monitor o unità di memorizzazione esterne. Tutti i programmi si inseriscono direttamente in memoria, bit per bit, e si perdono allo spegnimento. Blankenbaker immagina il Kenbak-1 come uno strumento educativo a basso costo per insegnare informatica e programmazione. Come dirà anni dopo:
«Pensavo al Kenbak come a un’introduzione accessibile allo studio della programmazione. Avrei dovuto puntare di più agli appassionati e agli hobbisti: le scuole impiegavano troppo tempo per approvare i budget».
Il prezzo di lancio, 750 dollari (circa 698 euro dell’epoca), è molto più basso rispetto alle macchine concorrenti, che costano diverse migliaia di dollari. Viene pubblicizzato su riviste come Scientific American e Computerworld.
Nonostante il prezzo competitivo e il prestigio di una menzione da parte di una giuria di esperti, tra cui Steve Wozniak, futuro cofondatore di Apple, il Kenbak-1 non decolla sul mercato.
La produzione si ferma tra il 1972 e il 1973 dopo la vendita di appena 40-44 unità (alcune fonti parlano di 50).
Oggi restano soltanto circa 14 esemplari noti, conservati in musei e collezioni private.
La rarità e l’importanza storica ne fanno un pezzo da collezione ambitissimo: nel 2013 una macchina è stata battuta all’asta da Breker in Germania per 31.000 dollari.
Il Kenbak-1 è oggi una testimonianza tangibile di come l’informatica personale nasca da progetti semplici, artigianali e focalizzati sull’apprendimento.
Rispetto alle prestazioni di un qualsiasi smartphone attuale, milioni di volte più veloce e potente, il Kenbak-1 sembra un giocattolo, eppure, nel suo pannello pieno di luci e interruttori, vive l’essenza della programmazione: il controllo diretto della macchina e la curiosità di capire “come funziona” dall’interno.
Per questo, ancora oggi, è ricordato come il PC che ha aperto la strada a tutti gli altri.