All’inizio degli anni Settanta la corsa alla miniaturizzazione rende possibile immaginare computer personali, economici e portatili. In Canada, il gruppo di Mers Kutt dà forma a questa intuizione con l’MCM/70: una macchina 8008-based, pensata per l’uso individuale e programmata in APL.

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Mers Kutt, Gordon Ramer, Ted Edwards e Reg Rea

Il progetto nasce con un obiettivo ambizioso: offrire, sul tavolo di lavoro, la semplicità di una calcolatrice e la potenza concettuale di un mainframe. Non è un kit per hobbisti, ma un sistema completo, con linguaggio, sistema operativo e periferiche integrate. È una visione che anticipa molti tratti del personal computing moderno. 

La scintilla iniziale è il Key-Cassette, uno schizzo che Kutt inserisce nei suoi appunti a fine 1971, quando l’idea di una CPU su singolo chip è notizia di poche settimane. L’obiettivo è chiaro: un desktop microprocessor-based, abbordabile, semplice come una calcolatrice tascabile e, funzionalmente, capace di far girare APL come sui grandi sistemi.

Per contenere costi e tempi, il team guarda al mercato delle calcolatrici: riuso di scocche, display, alimentazioni, tastiere; la scocca ideale richiederebbe stampaggio a iniezione, elegante ma costoso (si stimano stampi da ~25.000 dollari). Nello schizzo, in stile calcolatrice da tavolo, si notano una tastiera integrata, un piccolo display e due vani: a destra un’unità a cassetta, a sinistra un secondo drive o un accoppiatore acustico. È uno dei primissimi disegni conservati di un microcomputer destinato al mercato consumer.

Il Key-Cassette prevede una tastiera compatta da 32 tasti, capace di inserire caratteri alfanumerici, simboli APL e funzioni speciali. Ogni tasto può immettere fino a cinque simboli, con combinazioni di tasti; la legenda è a colori: rosso per i simboli diretti, nero agli angoli per quelli ottenuti in combinazione. Il display monolinea mostra una riga di codice APL, output o messaggi di errore; con tasti “→/←” si fa scorrere lateralmente la riga, con “↑/↓” si scorre tra le righe. Due opzioni di segmentazione (13 o 15 segmenti) suggeriscono possibili scelte costruttive per il modulo di visualizzazione.

Tra fine 1971 e primavera 1972 Kutt analizza a fondo l’ecosistema IntelMCS-4, il nuovo 8008, la scheda SIM8-01, il programmatore MP7-02 e la disponibilità di componenti in second source. Ad aprile 1972 visita Intel e incontra Bob Noyce e Hank Smith per valutare stato del chip, tool e perfino la possibilità di CPU board custom. Poche settimane dopo arriva la SIM8-01: José Laraya la prova, interfaccia telescriventi e usa l’MP7-02 per bruciare in EPROM le prime parti dell’interprete APL di Gord Ramer.

Il primo tentativo, chiamato nei quaderni prototipo M/C, delude: la piattaforma è instabile e lenta. Laraya decide allora di ripartire da zero con un’architettura a schede modulari: una per la CPU 8008 e le interfacce tastiera/display, una per la memoria, una tastiera APL dedicata con generatore di caratteri “soft” e un piccolo display al plasma Burroughs Self-Scan da 32 caratteri. In produzione si aggiungerà anche una scheda per il controller cassette e l’interfaccia Omniport sul retro per la connessione di periferiche diverse.

L’11 novembre 1972 il prototipo a rack è già abbastanza maturo da essere mostrato agli azionisti nella riunione straordinaria a Kingston. È il passaggio in cui l’azienda cambia nome in Micro Computer Machines (MCM), segnalando che l’idea è diventata impresa.

MCM70MCM/70 (Foto: Nash Gordon - Own work, CC BY-SA 4.0, wikimedia)

Nei primi anni Settanta APL è appannaggio dei mainframe; portarlo su un 8008 a bassa velocità, set istruzioni ridotto e spazio di indirizzamento limitato è la sfida più dura. Il team ha però un vantaggio: Gord RamerDon Genner e J. Morgan Smyth hanno già lavorato su York APL alla York University. In MCM si dividono i compiti: Ramer progetta il linguaggio, Genner implementa, Smyth documenta e curerà la User’s Guide del 1974.

Lo sviluppo parte prima dell’hardware definitivo: con le sole specifiche dell’8008, Ramer e Genner emulano la CPU usando macro assembler su IBM/360.

In seguito Intel rilascerà anche l’emulatore INTERP/8 in Fortran IV. Quando il prototipo a rack è operativo, l’interpretazione passa sull’8008 reale e il codice viene “bruciato” in EPROM tramite MP7-02. È un processo lento e manuale: set di interruttori, indirizzi, “program” e… il tempo di una sigaretta per chip, come ricorda Laraya con ironia.

L’idea di Kutt è pragmatica: partire da un sottoinsieme di APL/360, lineare e didattico, e poi estenderlo lungo due direttrici, scientifica e business. Il risultato è MCM/APL, uno dei primissimi interpreti di linguaggio ad alto livello su microprocessore, pensato per rendere l’esperienza semplice e “non logorante” anche per chi non è specialista.

Nei taccuini compare presto un “short-cut to demo”: una dimostrazione rapida con una sola scheda CPU+RAM, alimentatore, tastiera e mini-display in una scocca stile calcolatrice, sufficiente a mostrare come l’8008 gestisca un sottoinsieme di APL residente in ROM. Non è chiaro se questo prototipo “light” venga mai costruito, ma nel maggio 1973 al Fifth International APL Users’ Conference di Toronto MCM mostra un portatile in vetroresina che… scalda parecchio. Il pubblico APL, però, capisce subito la portata: presto linguaggi ad alto livello gireranno su piccole macchine da scrivania.

Seguono tour in Europa e Nord America con vari dimostratori, incluso un sorprendente prototipo in valigetta con batterie. C’è anche un’arma segreta: un mockup di cartone perfettamente rifinito, usato per presentazioni a investitori. È così che MCM chiude un finanziamento da mezzo milione di dollari: pura vendita del futuro, ma sostenuta da prototipi funzionanti e una roadmap credibile.

Il prodotto finale eredita molto dalle idee Key-Cassette e M/C: tastiera APL integrata (con layout ispirato al terminale IBM 2741), display al plasma monolinea e due drive a cassetta frontali (oltre 100 KB ciascuno). Il cuore è l’Intel 8008; in ROM risiedono MCM/APL e due moduli di sistema:

  • EASY (External Allocation System): gestisce I/O a cassette, mount/unmount, comandi di spegnimento “graceful” e utilità generali.
  • AVS (A Virtual System): implementa la memoria virtuale usando una cassetta come estensione trasparente della RAM, portando lo spazio effettivo oltre i 100 KB.

La macchina integra un power-fail protection che consente continuità a batteria durante micro-interruzioni. In caso di blackout prolungato avvia un backup automatico su cassetta e lo shutdown ordinato; al ritorno dell’energia, ripristinalo stato e ricarica le batterie. Per contenere i costi industriali, solo i fianchi del case sono in plastica stampata a iniezione; il resto è in alluminio, soluzione che bilancia estetica, robustezza e budget.

Fin dal 1973, MCM posiziona l’MCM/70 tra calcolatrici avanzate e mainframe/minicomputer, puntando a esperti e neofiti.

L’installazione dev’essere self-service: macchina “turn-key”, librerie applicative, manuale chiaro. Kutt vede opportunità presso utenti IBM System/360 e nel mondo accademico: entro il 1976 una quota rilevante (circa un quarto) delle installazioni nordamericane è in università e scuole. La strategia evolve: da “utenti programmatori” a “consumatori di software”, con MCM che rilascia word processor (TEXT/700), pacchetti finance, e connettività verso time-sharing APL e IBM 360. 

Nonostante la maturità ingegneristica, MCM opera in un mercato ancora immaturo e con capitale di rischio limitato. L’integrazione hardware-software, forza distintiva, rende anche la piattaforma rigida rispetto a un ecosistema nascente fatto di componenti “off-the-shelf” e margini stretti. L’arrivo di macchine più economiche e aperti ecosistemi di terze parti (Apple II, poi IBM PC) sposta rapidamente l’attenzione del mercato.

MCM continua a innovare (MCM/700, /800, /900, fino a Power e MicroPower), ma non raggiunge i volumi necessari a ridurre drasticamente i costi unitari. 

L’MCM/70 mostra, prima della “rivoluzione hobbistica”, che un microcomputer completo può offrire linguaggi ad alto livello, memoria virtuale, portabilità e affidabilità in formato desktop. Formalizza il co-design hardware-software(APL + OS + macchina pensati insieme), un approccio che oggi ritroviamo in ogni piattaforma ben riuscita. Introduce prassi da “personal computing” moderno: tastiera specializzata, display integrato, storage locale, avvio semplice, manualistica pensata per l’utente finale. È, in sostanza, una dimostrazione concreta che “il computer personale” non è un sogno, ma un prodotto.

 

Specifiche indicative (configurazioni 1974–1975)

  • CPU: Intel 8008, 8 bit.
  • RAM: 2–8 KB (espandibile via AVS su cassetta).
  • ROM: ~14 KB (OS + interprete APL).
  • Storage: fino a 2 cassette digitali (~100 KB ciascuna; una dedicabile a AVS).
  • Display: Burroughs Self-Scan monolinea, ~32–85 caratteri a seconda della revisione.
  • Interfacce: Omniport posteriore; stampante/plotter MCM MCP-132; modem 30 cps; lettore schede 80 colonne.
  • Prezzo: ~4.700–9.800 $ a seconda della configurazione.
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