Speciale: Mario Tchou e l'Olivetti Elea 9003

di Giuseppe RAO

Nel 1980 ho acquistato il bel libro di Lorenzo Soria, Informatica: un'occasione perduta. La Divisione elettronica dell'Olivetti nei primi anni del centro-sinistra. Il volume è rimasto sulla mia scrivania per vent'anni. Nel 2000 ho iniziato a rileggerlo e mi sono reso conto che erano passati trentanove anni dalla scomparsa di Mario Tchou, il fisico-ingegnere che nel 1954 era stato incaricato da Adriano Olivetti di creare il Laboratorio di ricerche elettroniche per la progettazione di un calcolatore elettronico. Le prime ricerche bibliografiche mi svelarono che, in tutti quegli anni, la storia dell'avventura elettronica dell'azienda di Ivrea non era stata raccontata in modo compiuto. Così è cominciata la ricerca dei protagonisti di allora. A poco a poco, abbiamo rintracciato collaboratori e familiari di Mario Tchou. Con i collaboratori di Mario Tchou abbiamo iniziato ad accarezzare l'idea di organizzare una réunion del gruppo. Il 23 novembre 2001, quarant'anni dopo il tragico incidente automobilistico che aveva spezzato la giovane vita di Mario Tchou, abbiamo promosso il convegno «Il Laboratorio di ricerche elettroniche Olivetti, Mario Tchou e l'Elea 9003. Il primo computer realizzato in Italia. La storia dimenticata di una sfida tecnologica e imprenditoriale». Poi abbiamo creato una mailing list per dare e ricevere notizie. Purtroppo anche quelle dolorose: durante il convegno di Milano avevamo ascoltato l'intervento appassionato di Pier Giorgio Perotto, l'uomo che aveva progettato il Programma 101, il primo calcola ore elettronico da tavolo realizzato al mondo. Aveva nascosto a tutti la malattia che in pochi mesi lo avrebbe vinto. Sono debitore ai familiari e ai collaboratori di Mario Tchou dell'aiuto e del sostegno che ancora oggi offrono per il completamento della ricerca.

Gli anni della formazione

Tra il 1955 e il 1961 si sviluppa un'avventura, quella del Laboratorio di ricerche elettroniche Olivetti (poi Divisione elettronica) costruita su alcuni elementi
principali: la capacità di leadership e di vision di Adriano Olivetti; le geniali intuizioni del giovane Mario Tchou e la sua capacità di guidare un piccolo gruppo di
giovani neolaureati; il rapporto di amicizia tra Roberto Olivetti, figlio di Adriano e massimo fautore dell'avventura nell'elettronica, Mario Tchou ed Ettore Sottsass. È una storia terribilmente complessa, che si snoda in un periodo storico molto complicato.
A distanza di anni dall'avvio del lavoro di ricerca, mi sono convinto che non conosceremo mai tutti i fatti.
Siamo negli anni della grande guerra. Il giovane Yin Tchou lascia la Cina, diretto in Italia alla ricerca di macchinari per produrre la seta. Ma il suo destino cambia:
nel 1918 inizia a lavorare presso l'ambasciata cinese in Italia 1. Nel 1921 è raggiunto a Roma dalla moglie Evelyn Wauang. Nel 1922 nasce Maria; il 26 giugno
1924 arriva Mario, seguito, nel 1926, da Memè. 

Memè Tchou: «Mia mamma proveniva da una famiglia emancipata; era anche una suffragetta; si è adattata velocemente all'Italia. Nel 1929 abbiamo fatto un viaggio di due anni e mezzo in Cina per conoscere la famiglia. Il papà non venne».

I giovani Tchou sono integrati nella realtà romana: studiano con profitto, frequentano i corsi di musica e fanno sport. Il giardino di casa loro è frequentato da giovani che lasceranno il segno nella vita del nostro paese.

Alfredo Reichlin: «Con Mario abbiamo giocato tante volte a pallone nel cortile dell'ambasciata».

Nel 1942 Mario Tchou consegue la maturità classica presso il Liceo ginnasio Torquato Tasso. Il 3 ottobre dello stesso anno ottiene il libretto di iscrizione – matricola n. 12030 – al corso di ingegneria presso la Regia Università degli Studi di Roma. Il giovane Tchou supera i primi tre anni di Ingegneria industriale (sezione Elettrotecnica) con ottimi risultati. Il padre insiste affinché continui gli studi negli Stati Uniti e nel 1945, dopo aver vinto una borsa di studio, parte per Washington. Un curriculum vitae redatto dallo stesso Tchou all'età di 30 anni ci permette di ricostruire con esattezza il suo percorso scientifico e professionale. Nel 1947 consegue il Bachelor of Electrical Engineering alla Catholic University of America. Nello stesso anno si trasferisce a New York, dove inizia a insegnare al Manhattan College, frequentato da molti italoamericani. Nel 1949 ottiene il Master of Science al Polytechnic Institute of Brooklyn con una tesi sperimentale intitolata «Ultrasonic Diffraction». A partire dal 1950 diventa consulente per il settore «television equipment ed electronic components» dello studio legale Ostrolenk Faber, specializzato nel settore del copyright. Nel 1949 si sposa a New York.

Mariangela Siracusa: «Nel 1946 sono partita per studiare alla Columbia University con una borsa di studio Fulbright. Il mio obiettivo era conseguire un Ph.D in scienze politiche. Nel 1948 ho iniziato a lavorare part-time presso l'addetto commerciale italiano a New York, il dott. Zilioli. Ho incontrato Mario proprio nell'ufficio dove lavoravo. 
Dopo pochi mesi, nella primavera del 1949 abbiamo deciso di sposarci. Abbiamo telegrafato ai genitori: «Ci siamo sposati». In estate siamo tornati in Italia per un viaggio di due mesi e abbiamo conosciuto le rispettive famiglie».

Nel 1952 la Columbia University conferisce a Mario Tchou l’incarico di assistant professor in Ingegneria elettronica. In poco tempo Tchou diventa direttore
del prestigioso Marcellus Hartley Laboratory, responsabile delle ricerche nel settore dell’ingegneria elettrica ed elettronica. Nel 1954 può presentarsi come ingegnere esperto in «digital control system including electronic and electromechanical computers».

 

Tchou verso l'Olivetti, l'Olivetti verso l'elettronica

Valerio Ochetto ritiene che a indirizzare la famiglia Olivetti verso l'elettronica sia stato Enrico Fermi, nel corso di una visita a Ivrea avvenuta 19493. È invece probabile che la visita dello scienziato sia servita a rafforzare una convinzione già maturata dai fratelli Adriano e Dino Olivetti. L'azienda di Ivrea inizia a impegnarsi in piccoli progetti aziendali affidati a Michele Canepa e dal 1950 collabora con Mauro Picone, direttore dell'Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo (Inac) del Cnr che sin dall'immediato dopoguerra cerca, senza successo, di ottenere finanziamenti pubblici per costruire una calcolatrice elettronica. Finalmente nel 1952 la Olivetti avvia una propria strategia e crea un laboratorio di elettronica a New Canaan, nel Connecticut, cittadina in cui risiede Dino Olivetti. I risultati del laboratorio, guidato da Michele Canepa, non saranno per considerati soddisfacenti da Adriano Olivetti, sempre più convinto che l'elettronica costituisca un settore decisivo per lo sviluppo dell'umanità. L'azienda non pu rimanere estranea al più grande processo di innovazione industriale in corso e decide di creare un laboratorio elettronico a Ivrea. Per la sua direzione, Guglielmo Negri, che lavora a Roma nell'ufficio per il commercio estero dell'azienda, suggerisce il nome di Mario Tchou. Nel giugno del 1954 Adriano si reca a New York. Mario Tchou, che non ha ancora compiuto 30 anni, viene convocato presso la sede della Olivetti Corporation OF America. I contenuti dell'incontro saranno parzialmente raccontati dallo stesso Tchou in un'intervista pubblicata il 22 ottobre 1961 da The Asia Magazine. Adriano Olivetti rimane favorevolmente colpito dalla personalità del giovane ingegnere, uomo «seriously interested in people, in social experiments, in the relationship among management, executives and workers», ma che sopra ogni cosa è uno dei pochi uomini che ha studiato il funzionamento dei calcolatori elettronici. Mario Tchou accetta la proposta della Olivetti e nel dicembre dello stesso anno torna in Italia.

Nel 1954 le province e le amministrazioni comunali di Pisa, Livorno e Lucca – componenti del Consorzio che contribuisce finanziariamente alle attività dell'ateneo pisano – stanziano 150 milioni di lire per la costruzione di un sincrotrone. L'iniziativa non ha seguito poiché il progetto viene affidato alla Provincia di Roma, che aveva raccolto circa 400 milioni di lire. Durante l'estate, Enrico Fermi – giunto in Italia per partecipare in qualità di docente a un seminario – nel rispondere a una richiesta di suggerimenti formulata dal rettore dell'Università di Pisa, Enrico Avanzi, propone di utilizzare la cifra per la costruzione di una calcolatrice elettronica. L'ateneo accoglie il suggerimento e decide di devolvere i fondi per la realizzazione di una calcolatrice scientifica (e di uno spettrografo). Il professor Marcello Conversi avvia immediatamente i contatti con la Olivetti, cui viene proposto di partecipare al progetto.

Dopo molti ripensamenti, l'azienda decide di aderire alla richiesta, rinunciando quindi alla realizzazione di un proprio centro di ricerca. Nel maggio del 1955 Mario Tchou lascia Ivrea e assume la direzione tecnico-amministrativa del Centro studi della calcolatrice elettronica dell'Università di Pisa.

 

Il Laboratorio di Barbaricina

Ma già nell'autunno del 1955 la Olivetti intuisce che deve ritornare al proprio progetto originario e decide di avviare un proprio laboratorio destinato alla realizzazione di una calcolatrice commerciale. «Le differenze sostanziali tra le due famiglie riguardavano le elevate prestazioni dell'unità di calcolo e le flessibilità di programmazione delle calcolatrici scientifiche, rispetto alle calcolatrici commerciali, che davano invece priorità alle periferiche e al loro controllo»5. L'azienda di Ivrea continuerà comunque a garantire il proprio supporto al progetto dell'Università attraverso l'invio di tecnici, denaro, informazioni, materiali, consulenze.

Alla vigilia del Natale 1955, Adriano Olivetti pronuncia a Ivrea un lungo discorso ai dipendenti durante il quale, per la prima volta, enuncia pubblicamente i progetti nell'elettronica:

Nel campo dell'elettronica, ove soltanto le più grandi fabbriche americane hanno da anni la precedenza, lavoriamo metodicamente da quattro anni dedicandoci a un ramo nuovo. (...) Noi non potremo essere assenti da questo settore per molti aspetti decisivo. Con ci tuttavia nessun pericolo incombe sulle nostre produzioni: come l'industria aeronautica non ha fermato lo sviluppo di quella automobilistica, così le calcolatrici elettroniche non sostituiranno, almeno per molto tempo, né le addizionatrici, né le calcolatrici meccaniche. Esse si aggiungono soltanto a render possibile l'esistenza efficiente dei grandi organismi e a procurare ai tecnici e operai italiani nuove occasioni di lavoro.

Mario Tchou inizia a selezionare per conto della Olivetti ingegneri, fisici, matematici e tecnici provenienti da tutta Italia e dall'estero. Nella ricerca dei collaboratori punta tutto sui giovani. In una successiva intervista a Paese Sera affermerà:

Le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria.

I primi ad arrivare a Pisa sono Lucio Borriello, Ottavio Guarracino, Franco Filippazzi e Remo Galletti. A Parigi, Mario Tchou intervista Martin Friedman, giovane ingegnere canadese impegnato presso l'Università di Manchester alla progettazione delle calcolatrici Ferranti. Giuseppe Cecchini e Sergio Sibani rimangono invece all'Università per lavorare al progetto della calcolatrice scientifica. Mario Tchou avvia i contatti con Giorgio Sacerdoti, il primo italiano ad aver scritto, nel 1953, una tesi di laurea sulle calcolatrici elettroniche e al tempo impegnato, presso l'Istituto di calcolo del Cnr guidato da Mauro Picone, nell'installazione di una calcolatrice Ferranti acquistata in Inghilterra. Giorgio Sacerdoti diventerà il responsabile dell'architettura di sistema della calcolatrice. Nella primavera del 1956 finalmente gli uomini assunti dalla Olivetti vengono trasferiti in una villetta a Barbaricina, che diventa la sede del Laboratorio di ricerche elettroniche. Mario Tchou ha chiesto all'ingegner Adriano tre anni per portare a compimento la costruzione dell'elaboratore. Giorgio Sandri, tecnico arrivato a Barbaricina nel 1957, ricorda con precisione la struttura del laboratorio e le attività in corso:

Salendo al primo piano della villa e affacciandosi al balcone, si vedevano prati e piante a vista d'occhio. In questo luogo ameno, venivano a svernare i purosangue della Dormello-Olgiata. In quegli anni non era difficile vedere passare il grande Ribot. (...) L'Ufficio di Mario Tchou era arredato in modo quasi spartano con i mobili prodotti dalla Olivetti-Synthesis a Massa. Ricordo perfettamente la ricca biblioteca con volumi tutti rigidamente in inglese. (...) A Barbaricina si era poi instaurata la consuetudine di riunioni in cui partecipava la prima linea, spesso allargata ai principali collaboratori di ciascun gruppo.

Nel 1957 arriva a Barbaricina Pier Giorgio Perotto, uomo che avrà un ruolo fondamentale nella storia della Olivetti.

Pier Giorgio Perotto: «Quando ero in Fiat, di quel laboratorio si parlava come di una cosa mitica. D'altra parte in quegli anni tutto quanto riguardava l'Olivetti era mitico e avvolto da un alone di superiorità e di mistero».

Mario Tchou vuole dimostrare che il Laboratorio pu contribuire anche al miglioramento dei prodotti meccanici che si fabbricano a Ivrea e incarica il giovane Perotto di realizzare un dispositivo necessario per utilizzare i nastri perforati, ossia il convertitore nastri-schede meccanografiche. La macchina, denominata poi Cbs, acronimo di Convertitore banda schede, è uno dei primi prodotti elettronici della Olivetti. Mario Tchou esprime fin dal primo momento grandi capacità manageriali e organizzative. La sua leadership è riconosciuta da tutti.

Giorgio Sacerdoti: «In termini aziendali Tchou era il direttore del Laboratorio, il che significava che egli guidava tutte le attività nell'elettronica dell'azienda. In termini pratici Mario era l'autorità assoluta, ma esercitava questo potere con tanta naturalezza e competenza da essere percepito come la guida ovvia del gruppo di persone che egli stesso aveva scelto e assunto. Il suo stile di guida era quello che oggi chiameremmo «per obiettivi», cioè assegnava in termini generali un compito e poi lasciava fare senza assolutamente interferire. (...) Se penso alla personalità di Mario vedo un uomo deciso, con le idee chiare, l'intelligenza aperta, e fortemente determinato a raggiungere i propri obiettivi. (...) La "buona educazione" che gli proveniva dalla famiglia, ulteriormente affinata (credo) dalla frequentazione di ambienti diplomatici, contribuivano a far re controllare perfettamente le situazioni e trovare istintivamente il giusto atteggiamento per mettere a proprio agio l'interlocutore. (...) La formazione ricevuta in America mi sembra si sia tradotta in un sano pragmatismo, oltre ad avergli dato le basi tecniche per capire l'evoluzione tecnologica verso cui si stava procedendo».

Remo Galletti: «Mario Tchou aveva compreso bene che il suo compito era di ottenere risultati dal gruppo e quindi si preoccupava di riconoscere i meriti di ciascuno di noi. In particolare teneva i collegamenti con Ivrea».
Ettore Stanghellini: «Penso che il gruppo di Barbaricina abbia rappresentato una anticipazione dei concetti di leadership, di lavoro di gruppo, di gestione per processi, di comunicazione e di integrazione. Mario Tchou era il leader ante litteram, nel senso moderno del termine; oltre alle direttive di carattere strategico, egli rappresentava la corazza che ci proteggeva dai meccanici di Ivrea – ostili verso l'elettronica – mentre all'interno personificava l'unitarietà dell'obiettivo da aggiungere. Non ho mai sentito da parte di Tchou un «ordine», ma solo delle indicazioni e dei suggerimenti, che naturalmente erano più efficaci degli ordini».

Lucio Borriello: «Mario Tchou era riuscito a valutare, nel corso di una vasta selezione, le potenzialità umane di ciascuno e a formare un gruppo coeso, in cui ognuno sapeva interpretare e svolgere il proprio ruolo».

 

La Macchina Zero (Elea 9001); la Macchina 1V (Elea 9002); la Macchina 1T (Elea 9003)

Mario Tchou aveva chiesto tre anni di tempo per costruire il computer. Invece, dopo circa un anno dall'inizio delle attività, nella primavera del 1957, la piccola équipe realizza la Macchina Zero, poi denominata Elea 9001 (acronimo di Elaboratore elettronico aritmetico, ma con un'allusione all'antica città della Magna Grecia sede di scuole di filosofia, scienza e matematica). La Macchina Zero era a valvole, tranne il governo a nastri magnetici che era stato progettato da Lucio Borriello con l'impiego esclusivo di transistor.

Giorgio Sacerdoti: «Adriano Olivetti venne una volta, verso la fine del 1957 quando la Macchina Zero era quasi completata e funzionante. La Zero era a valvole, quindi di grandi dimensioni, e senza forma, perché nessuno si era preoccupato di questo aspetto».
Luciano Nicelli: «Un giorno di primavera del 1957 arrivarono a Barbaricina Adriano Olivetti con il figlio Roberto e altri dirigenti della società, accolti dall'ingegner Mario Tchou che per la prima volte mi sembr trepidante e forse un po' preoccupato. (...) Nel tardo pomeriggio di quel giorno, dopo una lunga riunione con Mario Tchou, gli illustri visitatori si accomiatarono per tornarsene a Ivrea e noi potemmo finalmente recuperare il nostro direttore, che appariva raggiante e desideroso di spiegarcene il motivo. (...) Eravamo stati promossi! Adriano Olivetti (e con lui gli altri illustri meccanici di Ivrea) si era convinto che l'iniziativa "elettronica" impostata da Mario Tchou poteva avere successo, e quindi dava via libera alla corsa verso il nuovo futuro della società di Ivrea».
La Macchina Zero fu successivamente inviata a Ivrea.
Paolo Coraluppi: «La Macchina Zero venne smontata e trasferita nel Centro meccanografico di Ivrea, con lo scopo di essere utilizzata per la gestione dei magazzini della produzione. Purtroppo il trasferimento è stato prematuro, perché molte parti non erano affidabili. Quindi per circa un anno e mezzo abbiamo dovuto eliminare le parti difettose e sostituirle con nuovi circuiti. Per lo scopo cui era dedicata, la Zero ha avuto circa sei anni di vita».

Completato il primo prototipo, Mario Tchou e i suoi collaboratori iniziano a lavorare alla seconda macchina che avrebbe dovuto avvalersi di circuiti a valvole standardizzati.

Lucio Borriello: «La seconda calcolatrice fu anch'essa a valvole – 1V, per l'appunto – e aveva i circuiti a valvole standardizzati. In entrambe le macchine, per , i transistor del 7 governo nastri, nella Zero ancora al germanio e al silicio nella 1V, si dimostrarono molto affidabili, poco ingombranti e bisognosi di molta meno potenza elettrica di alimentazione».

Le valvole presentano tre grandi inconvenienti: occupano molto spazio, si bruciano con estrema facilità e, a causa del calore sprigionato, richiedono affidabili sistemi di aerazione e raffreddamento. L'avvento dei transistor risolve molti problemi poiché hanno una maggiore durata, piccole dimensioni e producono poco calore. Nell'autunno del 1957 Mario Tchou assume così la decisione più importante.

Giorgio Sacerdoti: «Ma nessuna descrizione delle funzioni svolte da Mario Tchou sarebbe esauriente se non venisse ricordata la decisione, presa quasi improvvisamente, di non andare in produzione commerciale con la macchina a valvole, ma di presentarsi direttamente sul mercato con una macchina a transistor. Questa decisione fu presa in una riunione convocata d'urgenza una domenica pomeriggio dell'autunno 1957, presenti Roberto Olivetti, Mario Tchou, Remo Galletti, Paolo Grossi e io. Il transistor allora era una novità usata più nei laboratori che nelle fabbriche, il suo utilizzo implicava un rischio tecnologico non indifferente e avrebbe comportato un ritardo di circa un anno. Tutto ci fu riassunto da Mario Tchou aprendo la riunione e facendo chiaramente capire che questa era la sua scelta. La decisione dimostrava la sua capacità di guardare avanti e lontano. Così svolgeva le sue funzioni di leader».

A Barbaricina ben presto Mario Tchou e i suoi collaboratori si rendono conto che, risolto il problema delle valvole, la debolezza maggiore del calcolatore risiede nelle insufficienti capacità di programmazione. Per questa ragione, la Olivetti inizia a selezionare matematici per formare un gruppo di sviluppo di quello che oggi si chiama software. Viene assunto Mauro Pacelli, ricercatore presso l'Università di Pisa, che introdurrà importanti innovazioni nelle attività di programmazione della calcolatrice.

Mauro Pacelli: «Barbaricina era un ambiente meraviglioso dal punto di vista umano e un caso raro nell'industria per l'alto livello tecnico dei partecipanti. Era la mia prima esperienza industriale e tutti mi aiutarono a inserirmi nella nuova realtà. Ciascuno di noi aveva grandi motivazioni e la produttività era certamente superiore a quella di ogni altro ambiente industriale che negli anni successivi ho avuto modo di conoscere negli Usa».
A Pisa entra in crisi il matrimonio di Mario Tchou. Dopo la separazione inizia la storia d'amore con la giovane pittrice Elisa Montessori.

 

La creazione della Società Generale Semiconduttori

Gli uomini di Barbaricina si erano trovati di fronte al grande problema della carenza – sui mercati nazionale ed europeo – di componenti allo stato solido, tran8 sistori e diodi. Mario Tchou convince Roberto Olivetti che è necessario creare anche in Italia un'azienda in grado di alleviare il problema. Nel 1957 i due uomini incontrano il presidente della Telettra, Virgilio Floriani, che ha una aspirazione analoga. Le due imprese decidono di fondare, con azionariato paritetico, la Società Generale Semiconduttori, l'attuale STMicroelectronics.

Virgilio Floriani: «[Un giorno] ricevetti la visita di due giovani interessati a conoscere i nostri programmi. Erano e il dott. Roberto Olivetti e l'ingegner Mario Tchou della Società Olivetti che da poco avevano costituito a Pisa una divisione di calcolatrici elettroniche. A farla breve, dopo una mia visita di Ivrea dove conobbi il Presidente, Ingegner Adriano Olivetti, e i membri del consiglio di quella società, decidemmo di riunire le forze per dar vita a una nuova azienda con partecipazione paritaria Olivetti Telettra. Io proposi il nome Società Generale Semiconduttori, Sgs».

Virgilio Floriani ha modo di conoscere Mario Tchou:

Lo stimavo come la persona forse più intelligente che avessi avuto l'avventura di incontrare.

Nei primi anni Sessanta alla Sgs lavorerà Federico Faggin, che era stato distaccato dal Laboratorio di ricerche elettroniche della Olivetti.

 

Il trasferimento a Borgolombardo e il completamento dell'Elea 9003

Nel 1957, Mario Tchou e Roberto Olivetti, nel frattempo divenuti grandi amici, comprendono che il Laboratorio necessita di essere collocato in un territorio adatto, anche dal punto di vista logistico, per la produzione industriale. I due uomini si oppongono alla volontà di Adriano di trasferire le attività nella destinazione naturale, Ivrea. La paura dichiarata è quella di essere fagocitati dalla grande impresa elettromeccanica, ma a ci deve essere aggiunto lo scarso entusiasmo dei giovani scienziati – e delle rispettive mogli – alla prospettiva di andare a vivere in una piccola cittadina. Adriano Olivetti nella primavera del 1958 decide allora di insediare il Laboratorio a Borgolombardo, a pochi chilometri da Milano.
Ad agosto il trasferimento è concluso. Nella nuova sede vengono create le strutture per la produzione dei calcolatori elettronici. Dal laboratorio artigianale di Barbaricina si transita verso una struttura, con funzioni anche di produzione, che con il tempo impiegherà più di mille persone. È un periodo felice per Mario Tchou: il lavoro procede a ritmi entusiasmanti, la sintonia con Ivrea è totale, ma soprattutto è in arrivo la prima figlia, Nicoletta. Roberto Olivetti e Mario Tchou si rendono conto che la sfida all'industria statunitense pu essere meglio affrontata con la cooperazione tra le principali aziende europee. L'obiettivo minimo è quello di concordare standard tecnologici comuni che permettano l'interoperabilità tra le diverse macchine prodotte; inoltre la condivisione di ricerca e sviluppo e quindi di tecnologie potrà innescare processi di innovazione più rapidi ed efficaci. I due amici partecipano a incontri bilaterali con la Ict inglese, la Siemens e la Bull, ma purtroppo senza ottenere alcun risultato apprezzabile.

 

L'Elea 9003 e la strategia della Olivetti per il settore elettronico

Nel 1958 viene completata la prima versione dell'Elea 9003, totalmente a transistor. La calcolatrice è descritta così:

una apparecchiatura di carattere universale, adatta alla soluzione di problemi gestionali, tecnico scientifici e di ricerca operativa. La memoria principale a nuclei magnetici è estensibile da 20 mila a 160 mila posizioni; l'unità centrale pu essere collegata a un elevato numero di unità magnetiche di archivio, tanto da consentire l'accesso a una quantità di informazioni praticamente illimitata, e di unità periferiche per l'introduzione e l'estrazione dei dati. L'Elea 9003 è un elaboratore plurisequenziale, capace di eseguire anche tre programmi contemporaneamente.

Nel novembre 1959 Leonardo Coen pubblica su Paese Sera un reportage in due puntate dedicato al Laboratorio di Borgolombardo. Il giornalista coglie l'importanza strategica dei computer per il futuro dell'umanità:

Le grandi calcolatrici costituiscono lo strumento più caratteristico e indispensabile della nostra epoca di travolgente progresso tecnologico. Senza questi poderosi "cervelli meccanici" la scienza nucleare non avrebbe potuto creare le grandi centrali atomiche e la scienza missilistica non avrebbe potuto inviare i razzi cosmici verso la Luna. Né si parlerebbe oggi della «seconda rivoluzione industriale» se i cervelli elettronici non avessero reso possibile l'automazione delle fabbriche.

L'Elea entra in competizione in un mercato dominato dalla Ibm. Mario Tchou, intervistato da Leonardo Coen, afferma:

Attualmente possiamo considerarci allo stesso livello [dei nostri concorrenti] dal punto di vista qualitativo. Gli altri per ricevono aiuti enormi dallo Stato. Gli Stati Uniti stanziano somme ingenti per le ricerche elettroniche, specialmente a scopi militari. Anche la Gran Bretagna spende milioni di sterline. Lo sforzo della Olivetti è relativamente notevole, ma gli altri hanno un futuro più sicuro del nostro, essendo aiutati dallo Stato.

In Italia invece si assiste a una circostanza paradossale. Adriano Olivetti si è impegnato a regalare una calcolatrice Elea al ministero del Tesoro e mette a disposizione delle università – per fini di ricerca e sperimentazione – il Centro di calcolo elettronico Olivetti di Milano.
All'inizio del 1959, la Olivetti è una impresa solida, impegnata in grandi investimenti tecnologici destinati a migliorare la qualità e i ritmi della produzione. L'azienda sta progettando una decisa transizione dalla meccanica all'elettronica. Il fatturato è così ripartito: macchine per scrivere 37%; macchine da calcolo 54%; macchine contabili 9%. Le unità vendute all'estero sono il 66,7%. Nel 1959, la relazione del consiglio di amministrazione agli azionisti osserva che:

la tecnica elettronica potrà avere nel futuro notevoli ripercussioni sul metodo di fabbricazione di prodotti attualmente realizzati in via meccanica; esiste quindi una ragione fondamentale di sicurezza che ci consiglia di non lasciarci cogliere impreparati quando la tecnica permetterà di trasformare alcuni nostri prodotti da meccanici a elettronici.

Nell'ottobre del 1959 Adriano Olivetti conclude negli Stati Uniti l'acquisto della concorrente Underwood, azienda in grave crisi. È la prima volta che un'industria straniera assume il controllo una grande impresa statunitense. La Olivetti ritiene innanzitutto di poter utilizzare la rete di vendite della Underwood per rendere più efficace l'accesso al mercato locale. In questo stesso periodo, l'azienda di Ivrea sta inoltre valutando con attenzione le potenzialità dei mercati dell'Europa dell'Est e forse anche della Cina. Il 1959, anno decisivo per il futuro della Olivetti, si conclude quindi con due grandi novità:

i successi nell'elettronica con l'Elea 9003 (...) e la acquisizione della Underwood. (...) Con questi progetti, [Adriano Olivetti] ritornava alla sua grande sfida: gli Stati Uniti, il paese della innovazione e della ricerca.

Nel 1959 la Olivetti acquista anche un'area di 300 mila metri quadrati a Pregnana Milanese, vicino a Rho, di fronte all'autostrada Milano-Torino. Adriano Olivetti affida a Le Corbusier il progetto per la nuova sede da destinare alla ricerca nel settore elettronico. Sempre nel 1959, presso la sede Olivetti di Milano, in via Clerici, viene creato un centro elaborazione dati dotato dell'Elea 9002, il prototipo che precede la versione finale della calcolatrice. L'8 novembre 1959, nella sede di Milano, l'onorevole Adriano Olivetti – era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1958 – presenta finalmente il calcolatore Elea al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nel discorso di inaugurazione, il presidente della Olivetti afferma:

L'elettronica non solo ha reso possibile l'impiego dell'energia atomica e l'inizio dell'era spaziale, ma attraverso la moltiplicazione di sempre più complessi ed esatti apparati di automazione, sta avviando l'uomo verso una nuova condizione di libertà e di conquiste. Sottratto alla più faticosa routine, dotato di strumenti di previsione, di elaborazione e di ordinamento, prima inimmaginabili, il responsabile di qualsiasi attività tecnica, produttiva, scientifica, pu ora proporsi nuove, amplissime prospettive. La conoscenza sicura, istantanea e praticamente illimitata dei dati, l'immediata elaborazione degli stessi, la verifica delle più varie e complesse ipotesi, consentono oggi di raggiungere obbiettivi teorici e pratici che fino a ieri sarebbe stato assurdo proporsi, e di dirigere e reggere con visione netta e lontana le attività più diverse. (...) In questo senso la creazione dei calcolatore Elea, e la sua produzione realizzata industrialmente dalla nostra Società, ci sembrano possano recare un contributo reale non soltanto alto sviluppo tecnologico e all'equipaggiamento strumentale e organizzativo dei Paese, ma anche al suo immancabile progresso sociale e umano. (...) Con la realizzazione dell'Elea la nostra Società non estende semplicemente la sua tradizionale produzione a un nuovo settore di vastissime possibilità, ma tocca una meta in cui direttamente si invera quello che penso sia l'inalienabile, più alto fine che un'industria deve porsi, di operare cioè non soltanto per l'affermazione del proprio nome e del proprio lavoro, ma per il progresso comune – economico, sociale, etico – della collettività.
Il presidente Giovanni Gronchi esprime il proprio apprezzamento:
La realizzazione del Laboratorio elettronico, che ho avuto il piacere di visitare, rappresenta una nuova affermazione della tecnica e dei lavoro italiani che fa onore a quanti in ogni settore vi hanno collaborato.

Lo stile Olivetti, il design di Ettore Sottsass

L'Olivetti negli anni diventa l'azienda più apprezzata e celebrata nel mondo per la capacità di coniugare leadership tecnologica, principi etici, diritti e benessere dei lavoratori e delle loro famiglie, sviluppo di attività mai realizzate prima da un'impresa nella cultura, nel design, nell'architettura, nella comunicazione aziendale, nella pubblicità, nell'audiovisivo, nell'editoria. Tutto ci contribuisce a creare quello «stile Olivetti» che rimane ancora oggi un modello mai eguagliato nella comunità internazionale, espressione di una vision illuminata e anticipatrice della modernità. Anche i progetti per l'elettronica non possono sfuggire a questa impostazione. Adriano Olivetti decide di affidare il design dell'Elea al giovane Ettore Sottsass, incaricato di lavorare a un progetto innovativo e rispettoso della filosofia aziendale: l'uomo e non la macchina al centro del progresso. La scelta è anche un segno di rinnovamento rispetto al design industriale del leggendario Marcello Nizzoli, autore di gran parte dei prodotti Olivetti (dalla Lettera 22 alle calcolatrici elettromeccaniche).

Ettore Sottsass 19: «La presenza dei calcolatori elettronici si pone in un habitat non ristretto a categorie di specialisti. Il rapporto cioè tra il prodotto e l'utente è diverso da quello che generalmente si stabilisce nel caso di prodotti della tecnologia tradizionale. Destinato ad ambienti di lavoro collettivo, il calcolatore elettronico assume necessariamente la presenza e il peso di un "personaggio" intorno al quale non pu non crearsi una particolare atmosfera».
Lucio Borriello: «L'architettura dell'Elea doveva non solo soddisfare a criteri estetici ma tener conto delle esigenze della manutenzione, che a quell'epoca, era almeno giornaliera. Si doveva poter facilmente individuare i guasti, con apposite lampadine sulla consolle e poi anche sui singoli gruppi funzionali, i cosiddetti "pacchi" orizzontali con le piastrine elettroniche. I mobili Elea erano costituiti ciascuno di un'ala centrale fissa e due laterali incernierate. Ettore Sottsass doveva tener ben conto dei nostri desideri di accessibilità e di facilità di sostituzione di parti difettose, nonché dell'aspetto e della funzionalità diagnostica della consolle».

Nel 1959, l'Elea 9003 ottiene il prestigioso premio Compasso d'oro. La giuria rileva: «la felice soluzione estetico-funzionale della modularità che sta alla base dell'apparato e l'alto livello culturale figurativo pur nella difficoltà costituita dalla novità e complessità del problema affrontato». Il risultato complessivo – dice ancora la motivazione – che si inserisce nella tradizione di un'industria di avanguardia nel campo del disegno, reca un contributo singolare alla tradizione estetica del disegno europeo20. È il terzo Compasso d'oro della Olivetti. Il primo era stato assegnato nel 1954 alla Lettera 22 disegnata da Marcello Nizzoli. Il secondo, nel 1955, all'ingegner Adriano Olivetti, per i particolari meriti acquisiti nell'industrial design. Altri ne seguiranno.

 

La comunicazione aziendale; il documentario Elea Classe 9000; i disegni di Bruno Caruso

L'Ufficio pubblicità della Olivetti è a Milano, in via Clerici 4, ed è diretto da Riccardo Musatti, uno dei collaboratori più importanti di Adriano Olivetti. Nella stessa sede lavora Franco Fortini, che oltre a scrivere i testi delle pubblicità propone i nomi dei prodotti: Lettera 22, Lexicon, Tetractys, Elea sono solo alcuni degli esempi. La Olivetti sin dagli anni Cinquanta sviluppa un intenso programma di comunicazione aziendale attraverso i documentari. Nel 1959 produce Elea Classe 9000. La regia è affidata a Nelo Risi; i testi a Muzio Mazzocchi Alemanni; la grafica a Giovanni Pintori; la fotografia a Giulio Giannini; l'animazione a Gianni Polidori e Giulio Giannini; le musiche a Luciano Berio. Elea Classe 9000 racconta con sapienza le attività del Laboratorio, inclusa la formazione e i problemi legati al passaggio dalla civiltà rurale alla civiltà industriale. In quell'audiovisivo sono conservate la voce e le uniche immagini in movimento arrivate a noi di Mario Tchou. Il documentario vincerà il primo premio Rassegna Confindustria del 1960 e sarà presentato alla Mostra internazionale del documentario e del cortometraggio di Venezia del 1960. Bruno Caruso viene invece incaricato di preparare alcuni disegni sull'Elea. Il pittore va oltre e realizza una sequenza di raffigurazioni grafiche che raccontano il lungo passaggio dalla scrittura manuale ai calcolatori. Il lavoro viene raccolto e riprodotto nella Agenda Olivetti del 1960, la prima realizzata dall'azienda, intitolata «Dalla calligrafia alla memoria».

 

Il mercato degli Elea 9003

All'inizio del 1959 Elserino Piol, responsabile della Divisione commerciale elettronica riesce a vendere il primo Elea 9003 alla Marzotto. Mario Tchou non è entusiasta, perché è consapevole che occorre ancora tempo per mettere a punto la macchina: e ha ragione. L'installazione dell'Elea è lunga, laboriosa e presenta ostacoli tecnici davvero difficili. Marisa Bellisario, al tempo giovane softwarista e che in seguito spenderà gran parte della propria vita professionale alla Olivetti, ha ricordato i numerosi problemi tecnici sorti che addirittura ne avevano messo in pericolo l'acquisto 21. La competizione, in un mercato dominato da Ibm e altri colossi americani, è davvero dura per la la Olivetti.

Marisa Bellisario: «I canoni mensili di affitto partono da 8 milioni di lire, pochi per assicurare il ritorno dei grandi investimenti necessari al progetto e allo sviluppo; ma alla gestione, per il momento, chi ci pensa?».

Bisogna conquistare un mercato ancora vergine, sul quale incombe la Ibm, che è allora leader del mercato. In quegli anni, è importante ottenere ordini a ogni costo piuttosto che al miglior costo, penalizzando il conto economico per l'immagine e la credibilità aziendale. Bisogna anche dimostrare a Ivrea che il futuro è nell'elettronica. Roberto Olivetti, figlio di Adriano, scrive su Notizie Olivetti del maggio 1960: «La collaborazione [tra Ivrea e Borgo Lombardo] è possibile anche quando appare assurda», ma sono in pochi a pensarla così. L'Elea 9003 diventa così probabilmente il primo calcolatore «commercializzato nel mondo, interamente realizzato con componenti allo stato solido, cioè transistor e diodi: senza tubi termoionici, è arrivato prima della Ibm». Tra il 1960 e il 1964 ne vengono prodotti circa trentacinque esemplari. I primi acquirenti sono il Monte dei Paschi, la Fiat Ricambi, l'Eni, la Cogne, il Credito Italiano, l'Inps, l'Automobile Club d'Italia; la Banca San Paolo di Torino, la Ferrero, la Lancia, la Motta.

 

La nascita di Olivetti Controllo Numerico e l'Elea 6001

Una delle principali scommesse di Mario Tchou è la possibilità di trasferire le tecnologie elettroniche nella realizzazione delle macchine utensili – settore nel quale la Olivetti ha una grande tradizione avviata dal fondatore Camillo – e delle macchine contabili. Nel 1959 Mario Tchou incontra il giovane canadese Joe Elbling che rifiuta di entrare nel Laboratorio elettronico ma che si dice disponibile ad avviare le attività nel controllo numerico. Mario Tchou accetta la sfida e convince Roberto e Adriano Olivetti a investire nel nuovo settore. In poco tempo l'azienda diventerà uno dei leader mondiali.

Elserino Piol: «La decisione strategica di entrare nel controllo numerico fu presa in una notte da Roberto e da Tchou; dopo, ovviamente la cosa fu discussa con il padre».

Mario Tchou continua a promuovere la propria strategia, diretta a mettere a disposizione i risultati del lavoro di ricerca e sviluppo anche per importanti progetti industriali e scientifici nazionali come la centrale nucleare di Latina costruita dall'Eni.

Lucio Borriello: «L'ingegner Tchou mi affidò il progetto e la realizzazione di due data loggers, cioè raccoglitori e registratori di dati di funzionamento del reattore nucleare, con memoria a nastro, per il monitoraggio della centrale nucleare di Latina».

Nel 1960 Mario Tchou e i suoi collaboratori decidono di realizzare un elaboratore di prestazioni e costo inferiori, l'Elea 6001, orientato innanzitutto ad applicazioni di carattere scientifico e quindi per un'utenza media (istituti universitari, enti pubblici, media industria) che otterrà un grande successo (dal 1961 al 1965 ne vengono venduti più di cento esemplari).

Ottavio Guarracino: «All'inizio del 1960 fui chiamato dall'ingegner Mario Tchou. Mi parl della notizia che la Ibm avrebbe lanciato un nuovo sistema, il "1620", orientato a raggiungere utenti potenziali per installazioni di minor prezzo. Probabile target utente: enti universitari. Egli mi chiese se ritenevo possibile distaccarmi dal lavoro di via Clerici e iniziare una nuova attività di progetto. Il primo prototipo fu fisicamente pronto verso la metà del 1960. Presentammo l'Elea 6001 alla Fiera di Milano nell'aprile del 1961. Era la prima volta che l'Olivetti attrezzava uno stand specifico per l'elettronica».

 

L'ultima grande intuizione di Mario Tchou: la sua scomparsa

Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti muore all'età di 59 anni, colpito da un malore in treno mentre da solo si sta recando in Svizzera. La famiglia, divisa in cinque rami, ostacola l'ascesa di Roberto Olivetti. Viene nominato presidente Giuseppe Pero che assicura pieno sostegno alle attività elettroniche.

Mario Tchou è consapevole che l'Elea 9003, ancorché all'avanguardia, presenta dei severi limiti. Il calcolatore usa come linguaggio di programmazione il Fortran, lo stesso usato dall'Ibm, che per si è dimostrato inferiore ad altri linguaggi come l'Algol e il Simula. All'inizio del 1961 Mario Tchou convoca Mauro Pacelli, a cui affida il compito di progettare l'architettura di sistema di un nuovo computer. La vita di Mario Tchou a Milano è intensa anche dal punto di vista umano. Il rapporto di amicizia con Roberto Olivetti ed Ettore Sottsass è sempre più stretto. Le frequentazioni si allargano e coinvolgono anche la famiglia Feltrinelli. In primavera il secondo grande evento familiare: nasce Donata. A novembre Mauro Pacelli ha finito la progettazione del nuovo computer.

Mauro Pacelli: «Nei primi giorni di novembre del 1961 avevo presentato un rapporto su una architettura di un calcolatore. Il documento conteneva la proposta per il disegno di un nuovo computer, la sua architettura e i comandi per facilitare la compilazione e l'esecuzione di programmi scritti in linguaggio Palgo».

Erano i tempi del nascente interesse per i linguaggi di programmazione ad alto livello. Il Fortran esisteva da un po' di anni ma l'industria era in cerca di linguaggi che permettessero una maggiore produttività dei programmatori in varie classi di applicazioni che non erano strettamente basate su calcoli ma più in generale su qualunque forma di elaborazione di dati. C'era un grande interesse sul linguaggio Algol, che veniva definito da un comitato internazionale a cui successivamente anche io partecipai. Il linguaggio Algol è stato il modello per la definizione di linguaggi che sono divenuti di uso comune nell'industria, come il PL1, il linguaggio C e il C++ che oggi è largamente diffuso. La compagnia americana Burrough aveva annunciato un computer con architettura orientata alla compilazione ed esecuzione di linguaggi ad alto livello sul tipo dell'Algol. Il nome del computer era B5000. A Borgolombardo avevamo cominciato a lavorare su linguaggi ad alto livello, sul modello Algol e progettammo un linguaggio di programmazione col nome Palgo (Programmmazione algoritmica). In parallelo progettammo una architettura per un futuro computer che avrebbe ottimizzato la compilazione e la esecuzione di programmi scritti in Palgo.

La mattina di giovedì 9 novembre 1961, l'ingegner Tchou lascia Borgolombardo diretto a Ivrea, dove è prevista una riunione con gli alti dirigenti dell'azienda per discutere i finanziamenti e i programmi per il nuovo calcolatore. Mario Tchou decide, al fine di meglio rileggere il progetto di Mauro Pacelli, di sedersi sul sedile 16 posteriore della propria Buick guidata dal giovane autista Francesco Frinzi. Lungo il percorso, all'altezza di Santhià, l'auto si scontra con un camion. Entrambi i passeggeri muoiono. Mario Tchou ha 37 anni, Francesco Frinzi 28 anni.

Ettore Sottsass: «Mario Tchou era geloso del fatto che io ero più veloce in macchina. Lo vidi a colazione prima della mia partenza per un viaggio in India, mi fece vedere la sua nuova Buick e disse: "Vedi, ora non ho più paura di andare da Milano a Ivrea". Non l'ho più visto. Mario aveva un grande senso dell'humour. Tutto veniva preso seriamente ma con grandi dubbi e incertezze. Era un ingegnere poetico, non di quelli arroganti».

Pochi giorni dopo, il 13 novembre, a Pisa viene inaugurata la Calcolatrice elettronica pisana (Cep), il cui progetto era stato avviato nel 1955 – come abbiamo visto – proprio da Mario Tchou. La cerimonia si svolge alla presenza del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, e di numerosi rettori di Università. Per la Olivetti partecipano il presidente Giuseppe Pero ed Elserino Piol. Il rettore Alessandro Faedo nel suo intervento ricorda:

Il Centro, iniziato con il lavoro appassionato di un piccolo gruppo di ricercatori qui attratti per l'interesse che portavano in tale campo di studi – e fra questi pionieri desidero ricordare l'ingegner Tchou, diventato poi direttore del Laboratorio ricerche elettroniche della Olivetti, scomparso tragicamente in questi giorni – cre via via il progetto della costruenda calcolatrice e un corpo di tecnici a tutti i livelli per realizzarne la costruzione. (...) Alla coraggiosa iniziativa promossa dagli enti locali si unirono successivamente altri enti: la società Olivetti, per la illuminata visione che Adriano Olivetti aveva dei rapporti fra università e industria stipul una convenzione con l'Università di Pisa, concedendo nuovi finanziamenti e l'aiuto di un suo proprio personale che presso il nostro centro ha affinato la sua preparazione; l'Istituto nazionale di fisica nucleare... il Consiglio nazionale delle ricerche, il Comitato nazionale per l'energia nucleare, il ministero della Pubblica istruzione...

Il giorno successivo, il presidente Giuseppe Pero, rientrato a Ivrea, scrive al rettore:

Chiarissimo Professore, rientrato in sede mi affretto a scrivere per esprimere a Lei e al Senato Accademico i sensi dei nostro più vivo apprezzamento per i riconoscimenti che ieri, nel corso della solenne cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico, sono stati fatti nei riguardi della Olivetti, dell'Ing. Adriano Olivetti e dell'Ing. Mario Tchou. Tali riconoscimenti, anche per il tono sensibile ed elevato con cui sono stati avanzati nei riguardi dei contributo che abbiamo avuto l'onore di portare alla realizzazione della calcolatrice elettronica Cep di Pisa, sono per noi motivo di legittimo orgoglio...

Con questa lettera si conclude una collaborazione durata sei anni.

Il 18 novembre, Giuseppe Pero si reca a Borgolombardo per rassicurare i dipendenti sul futuro del Laboratorio:

Il vuoto lasciato dall'ing. Tchou nell'azienda è profondo sul piano umano e degli affetti e colmabile con difficoltà sul piano organizzativo e strutturale. Non si tratta, infatti, di sostituire un ottimo dirigente con un altro dirigente, anche egli eccellente. Il problema è più complesso, essendo venuta a mancare una personalità così singolare in un momento decisivo di scelte fondamentali riguardo alle strutture organizzative, ai progetti e a tutti i problemi del futuro che il Settore elettronico ha dinanzi a sé... Sono sicuro che voi, giovani intelligenze e speranze dell'azienda, non desisterete dal grande impegno che ha caratterizzato sempre il vostro lavoro; e l'azienda seguirà fiduciosa i vostri sforzi, con la certezza della continuità dei risultati delle vostre capacità creative e realizzatrici.

Nel corso della visita, Giuseppe Pero annuncia ai dipendenti che le attività del settore elettronico saranno dirette dal dottor Roberto Olivetti. Nel 1964 la Olivetti cede – o probabilmente è costretta a cedere – la Divisione elettronica, questo il nome dato alle attività a partire dal 1962, alla General Electric.

 

Conclusioni

Adriano Olivetti e Mario Tchou sono i due uomini insostituibili della Olivetti. Il Laboratorio prosegue le attività producendo risultati anche eccellenti. Eppure l'assenza di Mario Tchou priva l'azienda del vero leader, l'uomo che ha il coraggio delle decisioni importanti e pure rischiose, l'uomo che sa farsi rispettare e amare dai propri collaboratori e ammirare dalle persone esterne. Mario Tchou la Cina l'aveva vista solo da bambino, nel viaggio compiuto con la mamma e le due sorelle. Chissà quante volte aveva sognato di tornarci. La Cina rimaneva la grande patria, il punto di riferimento costante della propria esistenza. Apprezzava Mao Zedong perché aveva liberato il paese dal feudalesimo e perché aveva ridato dignità alle donne. I collaboratori di Mario Tchou hanno più volte ricordato le qualità che lo rendevano unico, e ne attribuivano il merito anche alle sue origini. Sapeva essere leader in modo naturale, senza aver mai fatto uso di metodi autoritari. Era un uomo riservato e capace di grandi emozioni e sentimenti.

Per più di quarant'anni è sceso l'oblio assoluto su Mario Tchou e i giovani scienziati del Laboratorio di ricerche elettroniche. Eppure questa è una storia che dovrebbe essere insegnata in tutte le scuole e in tutte le università. È una vicenda colma di passioni, voglia di fare, rispetto e amore per le persone, generosità, leadership, vision, voglia di rischiare. È un'avventura da cui impariamo che il rispetto per i valori etici e le diversità rappresentano il vero motore del futuro, almeno quello a cui tutti dovremmo aspirare.

Un'ultima considerazione. Mario Tchou è un giovane cinese cresciuto in Italia e che poi prosegue gli studi negli Stati Uniti. La sua personalità è il frutto innanzitutto della contaminazione e del rispetto reciproco di due grandi culture, quella cinese e quella italiana.

Tra il 1955 e il 1961 si svolge una grande avventura, che è anche la storia della grande amicizia di giovani uomini che hanno sfidato il mondo.

Il sogno di Adriano e Roberto Olivetti, di Mario Tchou e del piccolo gruppo di scienziati del Laboratorio di ricerche elettroniche era definitivamente spezzato. La Olivetti iniziava il suo inarrestabile declino. L'Italia perdeva per sempre la possibilità di mantenere una posizione di leadership in un settore che era già divenuto decisivo per i destini dell'umanità.

 

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